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Sport e psiche: cosa può fare lo psicologo per uno sportivo? Una modalità di lavoro diversa – L’approccio psicosociale

È ormai dato assodato e condiviso che praticare sport sia di estrema rilevanza per la salute fisica ed il benessere generale delle persone. Sebbene sia chiaro come l’attività fisica possa essere praticata anche al di fuori dei contesti sportivi canonici, la maggior parte di essa si attua proprio in ambiti sportivi specifici. Questo ha benefici non solo a livello corporeo, ma globalmente sulla persona, poiché è ormai risaputo che lo sport e l’attività motoria ad esso connessa, abbiano un rapporto diretto con il benessere e la salute delle persone, così come il fatto che siano un importante fattore di integrazione, di socializzazione e uno strumento di cultura sociale.

Non possiamo, infine, non evidenziare quanto esso sia un potente dispositivo educativo, attraverso il quale le giovani generazioni apprendono importanti valori. E’ un’occasione di crescita psico-fisica, umana, culturale e sociale, in grado di far acquisire e condividere i valori del rispetto fra ragazzi e verso il mondo adulto.

La Carta Europea dello Sport del 1992, definisce all’art. 2 lo sport come “Qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non organizzata, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”. Tale definizione concentra la propria attenzione sul perché le persone facciano sport: ovvero per esprimere se stessi, per incrementare il proprio benessere fisico e psichico, per migliorare la propria rete sociale e superare i propri limiti. Tre, dunque, sono gli elementi costitutivi della pratica sportiva: la ricerca del benessere, la dimensione relazionale e l’aspetto competitivo.

Questa descrizione ci sottolinea come ci sia in atto, ormai da diversi anni, un cambiamento nella concezione dello sport e della pratica sportiva, delle modalità di fruizione ed erogazione del servizio sportivo che è diventato, a pieno titolo, un “servizio sociale” contemporaneo.

Pertanto, per tutto ciò espresso sopra, non si può più pensare lo sport in funzione del solo gesto tecnico compiuto o esclusivamente del versante fisico-atletico che entra in gioco, ma bisogna considerarlo come un’attività che si irradia nell’individuo a 360°, prendendo in considerazione la sfera fisica, relazionale, mentale e psicologica della persona. Questo accade perché sono innumerevoli gli aspetti, non fisici, che intervengono quando si fa sport ed è fondamentale che lo sportivo o l’individuo che pratica sport ne diventi quanto più consapevole, al fine di produrre un miglioramento anche nella prestazione sportiva stessa.

Allora, considerato ciò, risulta fondamentale che l’intervento professionale esterno non venga indirizzato al singolo individuo, ma che prenda in considerazione tutto il contesto circostante, in quanto spesso è da qui che nascono i principali disagi.

Cosa c’è di diverso rispetto agli altri approcci legati alla psicologia dello sport?

La metodologia che utilizzo è definibile “approccio psicosociale”, ovvero ipotizza un lavoro che preveda la possibilità di coinvolgere i diversi interlocutori in gioco nel contesto sportivo, in maniera attiva, (Atleti, Genitori, Allenatori, Dirigenza), affinché si possano costruire insieme strategie di cambiamento.

Questa logica di intervento valorizza e cerca di dare parola ai soggetti che vivono in prima persona una determinata situazione o problema, senza la necessità di imporre una soluzione dall’esterno, calata dall’alto, poiché se la persona non è soggetto attivo del processo, il cambiamento potrà essere solo parziale.

Il mio lavoro sul versante sportivo prende in considerazione: la PERFORMANCE (atleta), la FORMAZIONE (persona), il CONTESTO.

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